Sprechi di spazio

In generale, un aspetto tipico degli interventi di riforma della logistica è l’ampiezza dell’ambito su cui si concentra e su cui si riflette. Interventi di riforma in questo campo possono prevedere azioni di tipo assai eterogeneo: rendere adeguato il volume di scorte a magazzino, ricostruire la rete logistica, ottimizzare l’ubicazione dei centri logistici di distribuzione, e quant’altro si innesti lungo “la scia” della movimentazione di materiali. Tra questi i problemi di spazio nei centri di distribuzione sono spesso affrontati. Quante volte abbiamo pensato o sentito dire: “la nostra azienda dispone di vari centri logistici, ma ne abbiamo davvero bisogno?…Nei picchi stagionali affittiamo un magazzino esterno, ma non sarebbe sufficiente il nostro magazzino?…”, etc. In ogni caso la questione è che non è dato vedere quale margine di incremento della capacità sia dato rispetto allo spazio del centro di distribuzione presente.
La figura 1 mostra quali siano i criteri di individuazione degli sprechi di spazio nei centri logistici di distribuzione.

Sia per lo “spazio disponibile/libero al deposito (Available space for warehousing)”, che per lo “spazio occupato da scorte a magazzino (Stock Holding Space)”, si tratta di superfici piane. Il calcolo dello spazio impiegato di fatto a scopo di deposito materiali (Stock Holding Space) si effettua sottraendo al valore corrispondente alla superficie complessiva il valore relativo ad ogni spazio occupato da uffici, corridoi, cantieri temporanei, etc.. Lo “spazio netto (net space)” è inteso invece come spazio volumetrico (Figura 2).

La “perdita in altezza”, o “Height loss” è data nel momento in cui non si sfrutta al meglio lo spazio in altezza tra l’ultimo ripiano e il soffitto. Laddove si tratta di materiali disposti su pallet lo spazio vuoto cui penda il successo o il fallimento delle attività di miglioramento. Non a caso le aziende che rivelano una elevata capacità di miglioramento sono proprio quelle capaci di individuare un alto numero di sprechi. Siamo talmente abituati a vedere il nostro posto di lavoro, ad agire secondo le nostre procedure, a compiere e veder compiere gli stessi gesti che è difficile etichettare di punto in bianco uno di questi elementi o una sua parte come spreco. Il trucco è non partire tanto dalla compilazione di una lista di singoli elementi di spreco, ma da una definizione di spreco che diventi categoria (sprechi di spazio, di movimento, di tempo,…) e sia quindi estendibile a singoli elementi concreti. Gli sprechi si trovano oggi e ora, ma è fondamentale essere consapevoli del fatto che la “caccia allo spreco” non si esaurisce mai e che ogni riorganizzazione, ogni miglioramento – per quanto ben operato e radicato – sottende la possibilità e l’eventualità di nuovi, piccoli o piccolissimi sprechi.

Non varrebbe la pena provare, ciascuno nella propria realtà, a definire o ridefinire cosa si intenda per spreco, raccogliendo la provocazione come una sfida?

 

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